Aldo Moro, lo statista e l’uomo
Chi era Aldo Moro?
Il nome “Aldo Moro” è ben radicato nella memoria nazionale. Se ne sente parlare nelle scuole e nelle case. È stato uno degli uomini più influenti del dopoguerra italiano. Il suo nome è ancora fortemente legato al suo rapimento e alle forti immagini pervenuteci durante la prigionia da parte delle Brigate Rosse.
Nel clima incandescente degli “anni di piombo”, il 16 marzo 1978 un commando di 19 uomini delle Brigate Rosse lo ha rapito. Ha così messo in atto quello che sarebbe divenuto uno dei simboli del clima politico degli anni Ottanta, provocando shock e turbamento nell’animo popolare.
Diretto verso il Parlamento, le BR assalirono e prelevarono Moro. Massacrarono a sangue freddo i membri della sua scorta. Persero la vita il maresciallo dei Carabinieri Oreste Leonardi, l’appuntato Domenico Ricci, il brigadiere Francesco Zizzi, l’agente Raffaele Jozzino, l’agente Giuliano Rivera.
Gli intrighi e le trattative
Rinchiuso in un “carcere del popolo”, durante i 55 giorni di prigionia, Moro fu al centro di un turbine di intrighi politici e trattative. L’avvicinamento della Democrazia Cristiana, partito di cui Moro era a capo, al Partito Comunista Italiano, suscitò i violenti rancori delle Brigate Rosse. I brigatisti vedevano, infatti, nella DC il principale nemico del popolo e della rivoluzione, il baluardo del capitalismo e dello “stato di multinazionali”.
Le richieste dei sequestratori erano due. Innanzitutto la liberazione di alcuni loro compagni detenuti nelle carceri statali per atti di terrorismo. Inoltre chiedevano concessioni di tipo politico, mirate a colpire la tanto odiata Democrazia Cristiana. Il panorama politico si divise in due: chi voleva un’azione di forza contro i terroristi e chi voleva trattare. Tra i due schieramenti si levò anche la voce del pontefice Paolo VI, che chiedeva “in ginocchio” e senza condizioni il rilascio dell’ostaggio.
Esasperati, i vertici delle BR non erano tuttavia concordi su quale dovesse essere la sorte di Moro. Ma, a seguito di un “processo del popolo” e data la situazione sempre più pericolosa, i brigatisti presero la decisione di uccidere l’ostaggio. La tragica morte avvenne il 9 maggio. Mario Moretti esplose alcuni colpi prima di pistola e poi di mitragliatrice. Caricarono il corpo su una vettura, dopo averlo avvolto in un panno rosso, messo in una cesta di vimini e lasciato nel centro di Roma.
I progetti politici e le lunghe passeggiate
Non si cercò quindi solo di colpire le idee, ma anche l’uomo che si faceva loro portavoce. Moro faceva parte di una generazione che, uscendo dall’esperienza nazifascista, aveva assistito agli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Aspirava alla formazione di un paese sempre più libero e inclusivo, in cui uomini e donne potessero lavorare insieme per costruire un “tempo nuovo”.
Fece parte dell’Assemblea Costituente e contribuì a scrivere la Carta costituzionale. Ricoprì vari incarichi istituzionali tra cui Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli Esteri. In qualità di professore di diritto penale esercitò la sua professione con profonda passione e devozione. Oggi coloro che furono i suoi alunni lo descrivono come un uomo “che sapeva ascoltare”.
Ricordiamo l’uomo ligio al suo dovere e alla sua professione. Lo ricordiamo anche per le sue lunghe passeggiate presso il lungomare di Terracina. Lì era solito scambiare discorsi con le persone che incontrava lungo il suo percorso, godendosi la bellezza del panorama. Fu uno dei primi a percepire le potenzialità dei tempi che correvano. Col suo lavoro si fece progettista instancabile pronto a disegnare un futuro radioso per le generazioni future.
Helene Arena e Federico Gugliandolo V A Liceo scientifico- Sezione Quasimodo