Ancora mille passi

nel mare la storia dei giovani migranti
Panorama Messina
La storia dei giovani stranieri, il loro viaggio difficile e pericoloso per  raggiungere le nostre coste. Le richieste d’aiuto. Il ricordo dei traumi subiti. L’accoglienza e l’integrazione. La speranza di chi ce l’ha fatta.

Hanno tra i 7 e i 16 anni, alcuni anche meno: sono soli, affamati, stremati, impauriti. Arrivano in Italia in balia dei trafficanti e la Sicilia è la regione in cui si contano sempre più minori stranieri non accompagnati. Tra loro c’è chi ha attraversato a piedi il deserto, chi ha sfidato il mare per giungere nella città di Messina, dopo una lunga fatica durata dei mesi e, in alcuni casi, degli anni.
Sbarcano nei nostri porti e hanno bisogno di tutto, dalla prima assistenza alle cure, fino alla necessità di essere rifocillati. Per questa attività di ausilio, nella rete di primo soccorso, assieme ai medici e agli operatori, lavora un team di psicologici che svolge un ruolo importante, fatto principalmente di supporto, sostegno e ascolto. Indietro, nel frattempo, hanno lasciato tutto quello che conoscevano e che era loro caro: la terra, gli odori, la famiglia (per coloro che non l’hanno vista morire), i luoghi, la casa, la scuola, i giochi d’infanzia. Nella loro migrazione silenziosa si portano dentro immagini forti, come la morte e il dolore di tanti compagni di viaggio di cui non è rimasta, sciaguratamente, alcuna traccia.

Li ascoltiamo per dare voce alle loro storie di disperazione ma anche di apertura e di speranza. Viviamo in un tempo di migrazioni, originate dalle guerre e dalle persecuzioni, dalle crescenti disuguaglianze sociali e da chi decide di fuggire, spinto da motivi di studio o dalla ricerca di una possibile occupazione ma, al di là dei fattori  specifici, ciascuno di questi adolescenti difende, a modo proprio, un sogno. A prima vista sembrano tutti uguali – con quelle coperte sulle spalle e poche cose strette tra le mani – però i loro racconti di vita,  per quanto simili, rimangono unici e speciali.

Un nuovo modo di guardare il mondo

Tutti – indipendentemente dalla loro nazionalità, sia che vengano dall’Africa, dal Pakistan, dall’Albania, dall’Egitto – ci parlano di abusi, violenze, sevizie, schiavitù e non ha importanza se queste avvengono in mare o in mezzo al deserto: quel che più conta è che molti di loro continuano a rischiare, a vivere da adulti, a morire. Attraverso i loro occhi che trasudano dolore impariamo un nuovo modo di guardare il mondo, di entrare nelle cose, tanto e così in profondità che sentiamo forte il dovere di trovare delle risposte, di garantire a ciascuno accoglienza e integrazione.

Ognuno di noi è sempre lo straniero di qualcun altro e vivere appieno significa, soprattutto, saper stare con la differenza, saperla accogliere e comprenderla in un’ottica di reciprocità e di arricchimento. Non sono viaggiatori per scelta, nei paesi da cui scappano c’è la guerra, la fame, la povertà e questo costringe i genitori a prendere le decisioni più difficili: separarsi dai figli affinché questi possano trovare un posto bello, il migliore del mondo. Partono senza un progetto preciso e, ogni volta, si passa da un trafficante di esseri umani all’altro e si è facilmente vittime di violenza, di sfruttamento fisico e sessuale, di brutalità inaudite.

“Se ti senti sicuro nel tuo paese, non scappi. Scappo per lasciarmi alle spalle una vita in cui muori ogni giorno”[1]. A parlare è Alì che ci racconta la sua verità, quella di un bambino di soli otto anni a cui è stata negata, anzi, strappata l’infanzia. Lì, in Afghanistan, non ha più nulla; nessun affetto gli è rimasto, solo tanta solitudine e quelle stelle su nel cielo che non smettono per fortuna di brillare.

La storia di Alì

Dal Pakistan all’Iran fino in Grecia “Su una barca piccola siamo in tanti, stipati gli uni sugli altri; non si vede nulla, il mare è nero e l’orizzonte è buio. Questo pezzo di legno spugnoso si inclina e ondeggia da far paura; le onde sono alte, c’è acqua dappertutto, persino un buco nel fondo dello scafo”. E quando lo scafista urla che bisogna gettarsi in mare, Alì è assalito dallo sconforto: non sa nuotare. Ma a volte, nei casi più drammatici, riscopriamo quello che pensavamo di non saper fare ed ecco che Alì, miracolosamente, riesce a salvarsi, attaccato con tutte le forze rimaste al serbatoio della stessa barca e quando finalmente esce dall’acqua è felice come poche volte lo è stato.

Asudi: storia di amore, di coraggio e di libertà

Alì adesso vive in Italia; lui che per tanti anni ha viaggiato come un clandestino – senza documenti, visto dagli altri come nessuno, un invisibile – adesso si è riappropriato del suo nome, della sua identità e sta realizzando i sogni di tutti coloro che non ce l’hanno fatta, di quelli che ha incontrato lungo la strada.

La sua storia è semplicemente una storia di amore, di coraggio e di libertà. Questa è una delle tante testimonianze, ce ne sarebbero migliaia, tutte unite da un comune denominatore: la disperazione. La stessa di Asudi, un ragazzo di 17 anni che ha vissuto dieci mesi nel campo di Moria, nell’isola di Lesbo, prima che questo venisse distrutto dalle fiamme. “Le condizioni in un campo restano durissime” racconta. Stipati in migliaia, privi di assistenza, con a disposizione solo un metro quadro, un pezzo di terra in cui sei costretto a vivere, muoverti, mangiare e dormire. Non c’è acqua, luce e il cibo scarseggia, le tende e i container non sono attrezzati; c’è freddo e sembra di essere confinati in celle a cielo aperto.

Di fronte a un bilancio di morti, di dispersi, di suicidi che continua a salire, vogliamo andare al di là dei confini, del colore della pelle, della lingua, della religione per aiutare chi è davvero nel bisogno?Evitiamo che il mare diventi luogo, cimitero di tanti corpi senza vita. Se fosse tuo figlio riempiresti il mare di navi di qualsiasi bandiera” diceva Govoni.

Ricordiamolo sempre e ricordiamoci, soprattutto, che una terra fiorisce solo se si nutre di semi diversi: una terra diventa madre quando è capace di costruire un’etica della convivenza che è, principalmente, un’etica dell’accoglienza e dell’ospitalità.


[1] Stanotte guardiamo le stelle, Alì Ehsani, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2018

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