Il pool antimafia, la vittoria e le stragi di “Cosa nostra”
Le stragi di Capaci e Via D’Amelio
Il 23 maggio 1992 alle ore 17:57 il tratto dell’autostrada 29, nei pressi di Capaci, è devastato da una carica esplosiva di potenza pari a 500 kg di tritolo. Muoiono i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, gli agenti Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro. A premere il pulsante del detonatore il mafioso Giovanni Brusca detto u’ verru (il porco).
Il 19 luglio 1992 alle ore 16:59 a Palermo, in via Mariano D’Amelio all’altezza del numero civico 19, con una carica esplosiva altrettanto potente, Cosa nostra uccide il Magistrato Paolo Borsellino, gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
In nemmeno due mesi la mafia stragista elimina i due uomini simbolo di una seria, costante e vincente lotta alla criminalità organizzata. Sono loro, infatti, che, isolati dal mondo con le loro famiglie, nell’isola dell’Asinara, portano a termine “la monumentale ordinanza-sentenza” di rinvio a giudizio che ha condotto alle sbarre il vertice di Cosa nostra e più di 300 sicari affiliati.
Il pool antimafia
Una svolta vincente nella lotta alla mafia resa possibile dall’impegno, dalle brillanti capacità investigative dei magistrati e delle forze dell’ordine e da un nuovo modo di condurre le indagini.
Non più giudici istruttori che lavorano ognuno per i fatti propri bensì un gruppo di magistrati che si scambiano informazioni, che lavorano insieme per rafforzare l’efficacia dell’azione penale diretta a “fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità” . Nasce così il pool antimafia. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello ne costituiscono il primo nucleo.
Il pool mette a segno una serie di successi, sferrando un attacco senza precedenti alla criminalità organizzata. Le forze dell’ordine, dunque, coordinate dai coraggiosi magistrati, effettuano indagini bancarie, arresti e riprendono il controllo del territorio. Infine il giudice Falcone con l’intuizione di cercare una sponda per ulteriori informazioni nelle famiglie mafiose perdenti, svela definitivamente l’assetto dell’organizzazione piramidale e verticistica denominata Cosa nostra.
Il magistrato, infatti, intercetta la voglia di vendetta del boss Tommaso Buscetta, che ha avuto la famiglia sterminata dalla sanguinaria mafia corleonese, e lo convince a parlare.
Buscetta racconta e si svelano alleanze e collusioni, tradimenti e famiglie sterminate da amici e consanguinei passati ad opposta fazione.
Buscetta racconta e i magistrati trovano riscontri oggettivi al racconto.
Il maxiprocesso
Si arriva così, il 10 febbraio 1986, al processo dove l’impianto accusatorio dei giudici istruttori regge perfettamente.
Un processo che per la durata e il numero degli imputati sarà ricordato come il maxiprocesso e che si concluderà in primo grado, quasi due anni dopo, con 19 ergastoli e 2665 anni di carcere a più di trecento uomini appartenenti a Cosa Nostra.
Per la prima volta la gente comune fa il tifo per la magistratura. Una grande vittoria, dunque, che culmina nel gennaio del 1992 quando la Cassazione conferma gli ergastoli e gli anni di carcere della sentenza di primo grado.
Poco dopo le stragi!
Il movente delle stragi, dunque, potrebbe essere stato il desiderio di vendetta di Cosa nostra, mai fino allora così colpita, e la potenza dei mezzi utilizzati dai criminali sarebbe stata necessaria per essere sicuri del risultato e per continuare ad incutere il terrore e ristabilire il silenzio e l’omertà.
Era, inoltre, ormai evidente che le indagini di mafia unificate e coordinate producessero ottimi risultati. Nel 1991, in conseguenza di ciò, nasceva la DIA (Direzione Investigativa Antimafia) e il 20 gennaio del 1992 si istituiva la DNA (Direzione Nazionale Antimafia) per coordinare a livello nazionale le indagini sulla criminalità organizzata. La prospettiva che il giudice Falcone andasse, cosa molto probabile, a ricoprire il ruolo di Procuratore nazionale antimafia certamente terrorizzava Cosa nostra e gli ambienti ad essa collusi. Ecco, dunque, un altro perfetto motivo per eliminare il brillante magistrato.
Dopo le stragi
Ma la verità giudiziaria non è stata così lineare e il movente della vendetta unita alla paura non è stato accettato da tutti. Numerose le indagini su possibili mandanti occulti. I processi per la strage di via D’Amelio, ad esempio, sono stati 4 e si sono protratti fino ai giorni nostri. Ombre e depistaggi hanno spesso offuscato la verità.
Non ho intenzione di prendere posizione in proposito. Si tratta di una vicenda lunga, complessa e, purtroppo, anche contorta.
Quello che, invece, voglio ricordare è la forte reazione e indignazione della società civile subito dopo gli orrendi delitti. Migliaia le persone che sono scese in piazza per manifestare contro la violenza mafiosa e per chiedere giustizia. Cosa nostra ha sbagliato i suoi conti quando ha pensato di mettere tutto a tacere ancora una volta con il terrore. Dobbiamo alla coraggiosa ed efficace azione dei magistrati del pool antimafia e delle forze dell’ordine che con loro collaboravano questo forte e irreversibile cambiamento nelle forze sane della società. Una nuova mentalità che persiste e si consolida anche dopo le stragi di via dei Gergofili a Firenze e di via Palestro a Milano nel 1993. Anno funesto, dunque, anche il 1993 che, tuttavia, porta con sé il felice ricordo dell’arresto di Riina, Totò u’ curtu, con l’operazione Belva.
Il giorno della legalità
Ed è per ricordare i risultati ottenuti dal pool antimafia, dai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e da tutti gli uomini e le donne delle istituzioni che hanno sacrificato la propria vita sulla strada della giustizia e della verità che il 23 maggio è diventato il giorno della legalità.
Sosteniamo, dunque, sempre le istituzioni e non dimentichiamo le potenti azioni delle organizzazioni, dei comitati e degli enti che quotidianamente hanno lottato e lottano per la legalità e la giustizia sociale.
Così come Marta Cimino il 25 maggio del 1992 esponeva dal suo balcone un lenzuolo bianco con la scritta “PALERMO CHIEDE GIUSTIZIA”, anche noi studenti della redazione del “Minutoli web” esponiamo il nostro virtuale lenzuolo bianco e chiediamo giustizia per tutte le vittime innocenti di mafia.
“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni”.
Giovanni Falcone–Palermo 18 maggio 1939-23 maggio 1992
Marco Aloise V D Biotecnologie ambientali