Messina in chiaroscuro
Nella periferia messinese, dove la mafia arruola la sua manovalanza, la società civile elabora la cultura dell’antimafia
Giuseppe Ayala, pubblico ministero nel maxiprocesso di Palermo, racconta che una volta un magistrato avvicinatosi all’indimenticabile Falcone gli chiese : “Giovanni, ma tu sei proprio sicuro che la mafia esista?” Soffermiamoci su queste parole che evidenziano una drammatica verità e riflettiamo insieme sul sistema mafioso, ripercorrendo le tappe della sua evoluzione storico-sociale proprio nella città di Messina, la cosiddetta “città-babba”, dove la pericolosità e l’implicazione dell’organizzazione mafiosa nel racket delle estorsioni, nei traffici di droga, nella gestione illecita dei lavori pubblici e degli appalti, può, ad un primo sguardo, risultare invisibile e non riconoscibile, ma in realtà qui la mafia è diventata grassa, ricca, si è immersa come un pesce sul fondo e dalla melma sabbiosa governa.
Gli anni ’80
A Messina la mafia è silenziosa, spara poco, traffica tanto, è molto meno riconoscibile ma altrettanto presente; essa rimane radicata nel territorio con le sue strutture, le sue regole, le sue logiche. Le speculazioni e gli abusi di stampo mafioso inquinano e avvelenano la vita della società messinese e per testimoniare che la mafia a Messina ci controlla, attraversiamo in breve la vita degli uomini e delle donne vissute e morte all’ombra del sistema mafioso e di chi lo ha combattuto in silenzio.
Partiamo dalla storia di Graziella Campagna e ci spingiamo fino a Villafranca tirrena, un paesino della provincia di Messina, dove non si sente parlare di mafia e dove non accade mai nulla di insolito, di strano, ed è in nome di questa “presunta normalità “ che non stupisce la scomparsa improvvisa della giovane Graziella, perché tutti sono concordi nel dire che niente e nessuno ha interesse a far del male ad una ragazzina: ma il 14 Dicembre 1985 siamo costretti a ricrederci perché il corpo di Graziella viene trovato nello spiazzale di uno dei fortini che sovrastano la città e su quel corpo acerbo sono presenti i chiari segni di una spietata esecuzione di matrice mafiosa.
Continuiamo a camminare nel sottobosco mafioso con un altro ricordo, quello di Nino D’Uva, cittadino esemplare e grande avvocato penalista .
La mafia alza il tiro
D’Uva viene assassinato nel suo studio legale di Via San Giacomo, sempre nella città babba, il 6 maggio 1986. Il boss mafioso Gaetano Costa aveva giudicato “troppo blanda” la linea difensiva dell’avvocato durante il maxiprocesso messinese. Arriviamo al 15 gennaio 1998, la sonnolenta Messina viene svegliata ancora una volta, da un’eclatante esecuzione perché, a colpi di lupara, in piena regola mafiosa, viene assassinato Matteo Bottari stimato gastroenterologo del policlinico universitario. “La città babba” è ora governata da interessi politico-affaristico mafiosi che hanno il loro centro proprio all’Università che gestisce un budget di appalti di circa 250 miliardi di lire.
A Messina sono così coinvolte e travolte carriere e dinastie di potere consolidate, ma la mafia per garantirsi la continuità dei propri interessi e delle proprie attività illecite, controlla soprattutto, i quartieri periferici.
L’impegno della società civile
Nei luoghi di confine di Bordonaro, Villaggio Aldisio, Fondo Fucile, Mangialupi e Santa Lucia sopra Contesse, tra le vittime del disagio sociale ed economico, le cosche arruolano la loro manovalanza, ma non possiamo non dire che, accanto a chi sceglie le vie brevi dell’illegalità, c’è chi stringe i denti, gente onesta che lavora e che sogna e tanti frammenti, tante testimonianze, sono ancora lì sotto forma di figli della società civile, quella parte della collettività sana, che tra mille difficoltà, elabora la cultura dell’antimafia. Non dimentichiamoci mai che tanti lottano, per cambiare le cose e per trasmettere alle nuove generazioni, la prospettiva di una giustizia e di una libertà sociale. Sul territorio, infatti, sono attivi centri di aggregazione giovanile, oratori, luoghi di riscatto e solidarietà, veri e propri presidi di legalità come la LeLat (Lega per la lotta all’AIDS e alle tossicodipendenze) che operano in sinergia con le comunità scolastiche, per portare avanti i valori fondanti della Costituzione proprio nelle zone più a rischio. Per finire, non possiamo non ricordare un eroe naturale, che noi sentiamo molto vicino, Peppino Impastato, assassinato con un carico di tritolo per aver denunciato speculazioni e affari di mafia e al quale è stata intitolata una via proprio nel rione Bordonaro, luogo dove si piange e si vive, perché è proprio con le idee e il coraggio di Peppino che noi tutti continuiamo a credere.