Intervistiamo lo scrittore Salvo Piscopo
La professione di docente e la passione dello scrittore
Il 20 aprile le classi del primo biennio del Minutoli hanno incontrato il professore Salvo Piscopo, l’autore di Ho sognato un arcobaleno in bianco e nero.
Gli alunni nei giorni precedenti hanno letto il suo libro per il Progetto Lettura. Hanno poi avuto il piacere di formulare delle domande da porgli.
Salvo Piscopo è di Favara. Ora vive a Palermo e insegna Scienze in un liceo. Per qualche anno ha svolto la professione di geologo poiché la sua laurea è in Scienze geologiche. Ha scritto diversi articoli per il Giornale di Sicilia, l’Unità, Progetto Salute e la Repubblica.
Il professore Piscopo si presenta e ci parla del suo libro e di sé. Nonostante sia un professore che insegna materie scientifiche, la sua passione è scrivere. Con il libro Ho sognato un arcobaleno in bianco e nero ha voluto mettere insieme la sua professione di docente e la sua passione di scrittore.
Nel romanzo i due personaggi principali sono Renato Castaldi, un giovane studente come noi, e il topo Jashi, che si è intrufolato nella cantina di casa. Per giorni il pensiero di Renato è rivolto alla cattura del topo. Nella storia si inseriscono vari personaggi che ruotano intorno alla vita di Renato, la scuola, il compagno di banco, la famiglia. È un racconto avvincente, adatto per noi ragazzi perché tratta le tematiche del razzismo e delle diversità in generale.
Jashi il topo
Ragazzi: Cosa rappresenta il topo all’interno della storia?
Salvo Piscopo: Il topo per noi può essere un personaggio grazioso dei fumetti, ma nel nostro immaginario collettivo è l’animale di cui tutti proviamo ribrezzo. Nel mio libro il topo ha un nome, Jashi, e tutti possono identificarlo nel momento in cui lo conoscono. Quante volte vi è capitato in classe, all’inizio dell’anno scolastico, di sedervi con un compagno reputato antipatico? Poi invece avete modo di conoscerlo e di vederlo diversamente e tutti i pregiudizi cadono?
Ecco, nella storia Jashi, da topo da cui bisogna difendersi e da dover cacciare, diventa un amico con la sua dignità. È proprio lui che dà a Renato degli insegnamenti, un topo nero. La metafora fa riferimento al colore della pelle. Quindi che importanza ha avere la pelle nera? Non significa nulla, l’importante è che io ti conosca. Jashi è proprio il passaggio tra lo sconosciuto che non vogliamo alla persona che impariamo a conoscere. Infatti nel momento in cui lui sparisce, Renato soffre. Il topo rappresenta l’altro che non conosciamo e che respingiamo a causa di pregiudizi. Nel momento in cui, attraverso il dialogo, lo conosciamo, si crea l’ “arcobaleno”.
Uno dei messaggi che volevo lanciare con questo racconto è che se noi tranciamo i ponti con gli altri, viviamo isolati e pronti al conflitto.
“Un arcobaleno in bianco e nero”
R.: Come mai ha scelto come titolo del racconto “Ho sognato un arcobaleno in bianco e nero”?
Salvo Piscopo:. E’ una frase che si trova nei capitoli finali, detta dal nonno di Jashi. Mio figlio, che si è occupato delle illustrazioni, ed io abbiamo voluto giocare con il titolo anche dal punto di vista dell’immagine. Abbiamo scritto “Ho sognato un arcobaleno” con caratteri più grandi. Così abbiamo messo in risalto due parole in particolare. Il sogno che significa speranza, e l’arcobaleno colorato e fa riferimento al ponte sognato dal nonno di Jashi. Poi però c’è il sottotitolo “in bianco e nero”, le sfumature di grigio che nella vita vengono sempre fuori. L’arcobaleno è il ponte, è il contatto che necessariamente dobbiamo avere con gli altri per stare bene. È l’inclusione, che non significa sopportazione, ma accogliere e volere bene ad una persona. È la relazione con il prossimo che ci tiene uniti e che non genera conflitti.
“A mio padre”
R.: Perché ha dedicato questo libro a suo padre?
Salvo Piscopo: Il papà è una figura molto importante. Mio padre, che non c’è più da un po’ di anni, mi ha insegnato tanto. Era un umanista. Ha insegnato latino, greco, storia e italiano. Era un uomo di profonda cultura. Sebbene io preferissi le materie scientifiche, per “colpa” sua ho fatto il liceo classico. Ho comunque studiato e oggi, grazie a questi studi scelti da mio padre, ho dato un senso a quella che è stata la mia formazione. Nonostante io abbia poi proseguito con studi scientifici, è venuta fuori l’esigenza di scrivere.
Ho voluto dedicare a lui il libro perché con il suo imporsi ha permesso che oggi io sia qui a parlare con voi. Ha permesso che oggi io sia autore di molti libri. Lui ha fatto uscire la mia capacità di inventare storie, di argomentare, di scrivere, di riflettere. Lui ha ispirato le parole di questo libro, lui ha piantato il seme.
Alle volte i professori…
R.: Si è mai sentito escluso dalla società proprio come è successo ad Armando?
Salvo Piscopo: Escluso è una parola davvero pesante. No, non mi sono mai sentito escluso. Come credo tutti quanti voi, esclusi proprio no. Però ci sono stati momenti in cui mi sono sentito a disagio. Qualcuno aveva creato attorno a me quel vuoto che in quel momento mi faceva sentire escluso. Ecco, ritorna sempre il tema della relazione che è importante. Vi posso dire che quando ero al liceo ho riscontrato tanti pregiudizi. A me piaceva tantissimo scrivere temi lunghi per poter esprimere le mie riflessioni.
Correggere un tema lungo per i miei professori era stancante. Spesso mi dicevano che ero troppo prolisso, troppo complicato. Mi incitavano a tagliare e ad accorciare i miei temi. In quel momento io mi sentivo escluso da un mondo in cui volevo entrare. Quando voi pensate di essere esclusi e vi sentite a disagio, o quando non vi sembra giusto qualcosa, continuate ad andare avanti. Vi prenderete la vostra rivincita.
Spesso l’esclusione che sentiamo deriva dall’atteggiamento che noi stessi mostriamo nei confronti delle persone che ci circondano. Siamo noi che non facciamo notare la nostra presenza. Ritornando al libro, ad un certo punto il topo non si palesa più come l’essere reietto, brutto, viscido, nero. Inizia a ragionare a porre interrogativi a Renato. A quel punto è il topo che sta creando un ponte. Dunque l’esclusione è qualcosa che dipende molto da noi, dal nostro atteggiamento.
“Un libro per i miei alunni”
L’esigenza di scrivere e buttare giù i miei pensieri ce l’avevo già da ragazzo. Il fatto che i miei professori non mi reputassero degno di poter scrivere ciò che sentivo, mi ha fatto sentire a disagio. Per esclusione intendo questo. Ripeto però che l’esclusione non dipende solo dagli altri. Dipende anche da noi sempre perché esiste quel ponte, quell’arcobaleno, che dobbiamo essere in grado di creare.
Ragazzi: Lei si rispecchia in Renato?
Salvo Piscopo: Renato è un personaggio. Non sono io. Non mi rispecchio in lui, ma probabilmente mi rispecchio come facente parte di una famiglia media per bene, con una casa, una vita normale. Renato è un personaggio costruito appositamente per quella comunicazione che io volevo con i miei alunni. Questo libro fondamentalmente è stato scritto innanzi tutto per me e per i miei alunni, non avrei mai pensato di pubblicarlo e di arrivare fin qui.
Nei libri ci sono i pensieri, l’emozioni e l’esperienze degli autori
Certo ho attinto dal mio vissuto per raccontare la famiglia di Renato. Qualsiasi famiglia potrebbe ritrovarsi nella condizione di non sentire protetta la propria casa, di sentirsi minacciata da pericoli come l’immigrazione, la rete, i social. Il pericolo però va gestito, va capito. La difesa è importante. È altrettanto importante preservare il proprio territorio, ma ciò non significa che il mio territorio non possa interagire con quello altrui. Nel momento in cui questi mondi vengono a contatto cominciamo a capirci e i pericoli cessano di esistere. Tornando a Renato, lui è una costruzione utile alla narrazione. Non sempre i libri sono autobiografici, ma gli autori mettono dentro i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie esperienze. L’autore si serve dei personaggi per mandare il messaggio al lettore.
Ragazzi: Dove ha trovato l’ispirazione per scrivere questo libro?
Salvo Piscopo: Quale è l’ispirazione o meglio dire l’aspirazione per scrivere il libro? L’aspirazione è il momento successivo a ciò che qualcun altro mi ha ispirato ed ha fatto in modo che io possa realizzarlo. L’aspirazione è stata quella ispiratami dai miei alunni. Parlare con loro di colonialismo, leggi razziali, immigrazione clandestina, diritti, dignità mi ha fatto sentire l’esigenza di scrivere.
Questo libro mi ha dato la possibilità di raccontare per metafore ciò che di solito spiego ai miei alunni. Tramite il romanzo, però, spero di stimolarli di più, di far vedere loro con occhi nuovi ciò che ormai “sentono” da troppi anni. Il racconto scritto permette di riflettere, di soffermarsi su alcuni punti. La lettura di un romanzo fa da stimolo. I miei alunni possono vedere la storia dell’immigrazione in maniera diversa, la storia del colonialismo in maniera diversa.
Karol d’Urso e Denise Galizia II D Chimica, materiali e biotecnologie