Maxiprocesso, punto di non ritorno per i mafiosi
Il giudice e il “pentito”
Giovanni Falcone, nato a Palermo il 18 maggio 1939, è stato un magistrato che si è battuto contro ogni forma di mafia. Alle sue brillanti capacità investigative si deve tutto ciò che si sa sull’organizzazione criminale siciliana. Solo il giudice Falcone ha scoperto la struttura piramidale della mafia o, meglio, di Cosa nostra, come i mafiosi chiamano la loro associazione. I successi ottenuti dal coraggioso giudice istruttore e dal pool di magistrati che lo ha coadiuvato hanno costituito l’apice della lotta al crimine organizzato.
Il più grande successo del magistrato è stato senz’altro il maxiprocesso del 1986 fondato sulle minuziose indagini del pool antimafia e sulle confessioni di Tommaso Buscetta. Per la prima volta un mafioso si affidava allo Stato per distruggere la cosca avversa e vincente. Buscetta parlava perché capiva di avere di fronte un uomo dello Stato che faceva sul serio, e senza mezzi termini, la lotta alla mafia. Buscetta parlava perché capiva che Giovanni Falcone si sarebbe fermato solo alla sconfitta di Cosa nostra. Falcone ascoltava perché doveva conoscere il suo nemico, quello vecchio e quello nuovo. Doveva conoscere “il cancro” siciliano, l’antistato che aveva condizionato e distorto lo sviluppo della Sicilia.
Il giudice scopre i segreti di Cosa nostra
Il “boss dei due mondi” (così Cosa Nostra chiamava Buscetta) si trovava in sud America, quando i Corleonesi davano il via alla seconda grande guerra di mafia. Erano gli anni tra il 1981 e il 1984. Buscetta, schierato dalla parte opposta, ha rischiato di essere ucciso. Lui si è salvato fuggendo in Brasile, ma ha perso due figli, il nipote, due cugini, un fratello e il genero.
Il boss è stato arrestato perché ritenuto a capo di una banda di trafficanti internazionali. Il giudice Falcone lo ha invitato a collaborare con la giustizia. Buscetta ha deciso di parlare, dopo avere tentato il suicidio. L’unico modo che aveva per vendicarsi era denunciare. E lo ha fatto. Non ha voluto però mai essere definito un pentito. Ha, invece, giustificato la sua scelta sostenendo che Cosa Nostra non avesse più la vecchia identità.
Anche l’altro affiliato a Cosa Nostra, Salvatore Contorno, sopravvissuto ad un attentato, ha deciso di parlare, confermando tutte le dichiarazioni di Buscetta. Soprattutto dopo aver visto assassinare 35 persone a lui care.
I due collaboratori di giustizia hanno ricostruito omicidi e azioni illecite, confermando e integrando l’accurato lavoro investigativo del pool antimafia. Tra il 1984 e il 1985 magistratura e forze dell’ordine hanno arrestato 493 affiliati ai clan mafiosi.
Il maxiprocesso
L’ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio, scritta dai giudici Falcone e Borsellino e firmata dal capo dell’ufficio istruzione di Palermo, Antonino Caponnetto, era lunga quasi 8000 pagine, 707 gli indagati, tra cui 431 i rinviati a giudizio. Arresti e rinvii a giudizio mai visti prima, da ciò si capisce la dimensione del successo dello Stato. I Giovani e le forze vitali della società civile per la prima volta facevano il tifo per i giudici. Falcone e Borsellino, per motivi di sicurezza, sono stati però costretti a ultimare la sentenza nell’isola dell’Asinara.
In previsione delle dimensioni del processo e per garantire la sicurezza dei detenuti durante il trasferimento è stata costruita in 7 mesi un’aula di forma ottagonale con 30 gabbie per gli imputati. Aula bunker sarà per sempre chiamata per i sistemi di sicurezza di cui è stata dotata o astronave verde per la forma e il colore.
Tutto era, quindi, pronto per il processo, anzi per il maxiprocesso, data la sua dimensione ed entità, ma trovare i giudici disposti a presiedere la corte d’assise non è stato facile. Dopo il rifiuto di 10 magistrati, Alfonso Giordano, presidente di corte d’assise da pochi mesi e magistrato coraggioso, ha accettato l’incarico.
Il maxiprocesso, inziato nel febbraio del 1986, dura quasi due anni. L’11 Novembre del 1987 la corte d’assise si ritira in camera di consiglio per deliberare. I giudici restano totalmente isolati dal mondo per 35 giorni.
Il maxiprocesso si conclude con 346 condannati, di cui 74 processati in contumacia. 19 ergastoli, 2665 anni di carcere e multe per 11,5 miliardi di lire. Assolti 141 imputati.
Le stragi
Nel 1992 la Corte di Cassazione ha confermato tutte le condanne.
Giovanni Falcone muore il 23 maggio 1992 nella strage di mafia di Capaci. Con lui perdono la vita sua moglie, il magistrato Francesa Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Paolo Borsellino muore il 19 luglio 1992 per mano della mafia in via D’Amelio e con lui perdono la vita i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Troina.
Tutti vivranno per sempre nel cuore della gente perbene.
“La mafia non è affatto invincibile; è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave; e che si può vincere non pretendendo l’eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.”
Giovanni Falcone
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